L’invito alla riflessione e alla riconciliazione tra l’intimo spazio dell’uomo e quello fisico della città, la libertà di un ragazzino che sopra ad uno skateboard attraversa, forse inconsapevole, le bellezze di un territorio familiare, l’elogio alla natura, alla pace e alla terra.
Queste le immagini principali emerse da “Racconta lo spazio” il concorso rivolto agli studenti degli Istituti Superiori della Provincia di Vicenza e promosso da Observa – Science in Society, la Provincia di Vicenza, il Comune di Caldogno e il Corriere del Veneto in occasione della terza edizione della rassegna Scienza e Società si incontrano nell’architettura e dell’Anno Internazionale dell’Astronomia.
Il linguaggio della fotografia e quello della scrittura hanno dato l’opportunità agli studenti di esprimere liberamente il loro rapporto con lo spazio, sia reale che immaginario, incoraggiando così, in modo originale e creativo, la riflessione sui temi della scienza e dell’architettura.
Le premiazioni si sono svolte domenica 19 aprile a Villa Caldogno durante la giornata conclusiva della rassegna Scienza e società si incontrano nell’architettura.
Di seguito i lavori dei vincitori del concorso:
Foto di Andrea Del Re – 2 AT, Liceo Tron, Schio
Quando non si sa dove si va,
si sappia da dove si viene
(proverbio africano)
Un bambino che cresce nella bellezza,
da grande cercherà di ricrearla attraverso forme nuove.
Brano di Miriam Manfrin – 4 AT, Liceo Scientifico Quadri Vicenza
LO SPAZIO-UOMO E I RICORDI DI UN PARADISO PERDUTO
I muscoli sono contratti in un unisono sforzo di perfezione e leggerezza. Vola, vola, piccola farfalla, nello spazio ora dilatato ed infinito! Vola, annebbiata dall’emozione, ma libera di sognare! La danza ti regala questo, la possibilità di fondere insieme anima e corpo, poesia, musica e movimento. Ogni singolo gesto è dettato dal cuore, non ha né un inizio, né una fine, non è intrappolato dal corpo, ma è in armonia con il mondo esteriore. E lo spazio circostante perde qualsiasi consistenza, i suoi limiti sono gli impalpabili fasci di luce… il resto è nero, buio, ma non per questo è meno affascinante. Così, in uno spazio di luce dorata, si muove un’anima corporea, spaziale… Un delicato braccio sembra comprendere tutto il palcoscenico e, teso incessantemente verso l’orizzonte, libera energia e la converte in emozione. Poi…
Svanisce… rimane soltanto il sapore del sogno, come se una magia fosse esplosa e, intorno, rimanessero le stelline lucenti dell’incantesimo. Tuttavia, in noi, cresce la consapevolezza di aver aggiunto una monetina in più all’inestimabile tesoro dell’interiorità, che noi costruiamo, frutto delle nostre esperienze e di un legame fortissimo con l’ambiente circostante: l’uomo, per essere tale, ha bisogno dello spazio esterno, perché “nessun uomo è un’isola”. Ed ecco che i luoghi, gli spazi circostanti, messi insieme, come un continuo ed inedito lungometraggio, creano le persone, danno loro un’identità. Sono spazi idealizzati, per vivificare ricordi sempre più lontani, non più veri nella realtà, ma veri dentro di noi, perché capaci di ridare una pennellata di pace anche nei momenti più difficili.
(…Il sentiero si insinua tortuoso verso la cima; sale, irto e stretto, fiancheggiando le pendici della montagna ed è sommerso da un mare di bosco, verde e vivo. Poi, dopo l’ennesima curva, si mostra agli occhi una gemma della natura: da una rupe laterale, scende una cascata di schiuma bianca, che si scioglie nel laghetto sottostante, limpido e profumato; l’aria è dipinta di fresco, con leggeri fiocchi d’acqua; intorno, riposano gli alberi, mai sazi di un’immagine così, sempre uguale e sempre diversa per chiunque la guardi. Nessuno, nemmeno la foglia, resiste dal toccare quell’acqua, pura e dolce, che scappa fra le dita, come se l’anima argentina della cascata rimanesse viva anche nelle mani.)
Questo è ciò che può stare dentro ad un uomo. D’altra parte, l’uomo è un microcosmo che può contenere dentro di sé il macrocosmo, solo pensandolo. Di giorno in giorno, l’uomo allarga a dismisura i suoi confini, tutti i confini, siano essi scientifici o tecnici, e rincorre i limiti dell’impossibile, sebbene questi si allontanino sempre di più, nella speranza eterna di essere imprendibili.
Ma se l’uomo rende più vasti i confini della conoscenza, non si accorge di restringere la propria anima: portiamo nel cuore uno spirito strozzato da città grigie, sporche, puzzolenti, ripugnanti e abbiamo dimenticato quella medicina, antica di quasi cinque miliardi di anni, che si chiama Terra. Un sole rosso che naufraga dolcemente nel mare suscita in noi pace e serenità, voglia d’amore… un fringuello che cinguetta sul ramo di un albero, fra le cimase, ci rallegra, ci infonde tenerezza… ma se noi tutti rendessimo le nostre città davvero a misura d’uomo, senza dimenticare che siamo parte di un ciclo irripetibile, allora forse ci renderemmo conto di poter portare sempre negli occhi un cantuccio di paradiso perduto, e di non doverlo cercare nel profondo dei ricordi.