Qualche anno fa, un gruppo di ricercatori, provenienti da 21 paesi di tutto il mondo, si è incontrato nelle sale della Royal Society di Londra per discutere i più recenti sviluppi sul tema “Gli indicatori internazionali di scienza e il pubblico”. L’incontro ha cercato di fare il punto sulle indagini riguardanti la comprensione pubblica della scienza (dall’alfabetizzazione scientifica, all’interesse e agli atteggiamenti pubblici verso la scienza) e di proporre cambiamenti per la ricerca in questo settore.
Fin dalla metà degli anni Settanta, i sondaggi su scala nazionale hanno dato un forte slancio alla comprensione pubblica della scienza. Ora è tempo di rinnovare questo campo d’indagine e i suoi concetti, in modo da rilanciare la ricerca. Col senno di poi, il motto del workshop alla Royal Society avrebbe potuto essere: “Lavorare meglio con ciò che è stato raggiunto e svilupparlo di più”. Alcuni di noi sono stati coinvolti da tempo nel progetto, per proporre una rivalutazione delle indagini sulla comprensione pubblica della scienza, sia mediante manuali e articoli, sia orientando la ricerca verso gli indicatori culturali della scienza.
È stato messo in discussione, in modo più o meno esplicito, il fenomeno della “grande conversazione sociale della scienza”. Questa conversazione sociale assume un’intensità variabile, affronta certi temi e ne ignora altri, coinvolge la popolazione a vari livelli, si concentra sulle controversie oppure le tralascia, ed è influenzata dal contesto linguistico, dalla politica, dalla storia locale della scienza e dal livello di sviluppo tecnologico.
La conversazione sociale implica molto più delle opinioni espresse nei sondaggi. Comprende – solo per citarne alcuni aspetti – scritti cartacei e mezzi d’informazione, mostre e consultazioni tra stakeholders, oltre che documenti sulla politica della ricerca e sull’apprendimento della scienza da parte di giovani e anziani, a livello formale e informale. Il workshop ha esplorato le modalità per confrontare questa conversazione sociale nel tempo attraverso varie culture. A conti fatti, è in gioco un processo dinamico.
Senza dubbio, le indagini rappresentative svolte a livello nazionale sono una tecnica altamente sviluppata con cui la società osserva se stessa, ma sono insufficienti per mappare le conversazioni sociali. Servono flussi di dati complementari per comprendere l’ambiente simbolico di un intervistato e la cultura scientifica nella quale è immerso. Difatti, un intervistato risponderà in base alle sue risorse interne (cognitive ed emozionali) ed esterne (l’ambiente semiotico). I questionari riportano risposte standard, ma non ci spiegano come interpretarle in contesti diversi. Il bisogno di contestualizzare i sondaggi ha sollevato i due punti all’ordine del giorno dell’incontro:
• come migliorare l’indagine – gli indicatori soggettivi della scienza;
• come mobilitare i flussi di dati complementari – gli indicatori oggettivi della scienza.
Attivati congiuntamente, indicatori soggettivi e oggettivi sono capaci di mappare la conversazione sociale che, in ultima analisi, sospinge la cultura scientifica di una nazione. Le riflessioni e le ricerche scaturite da quell’incontro alla Royal Society sono ora diventate un volume, The Culture of Science. How the Public Relates to Science Across the Globe (Routledge), che raccoglie le discussioni rielaborate su questi temi.
Martin W. Bauer insegna Psicologia Sociale e Metodologia della Ricerca alla London School of Economic. Si occupa di rappresentazioni sociali e atteggiamenti del pubblico nei confronti di scienza e tecnologia, in particolare genomica e biotecnologie. Collabora alle realizzazioni delle indagini dell’Eurobarometro e dirige Public Understanding of Science, una tra le più importanti riviste del settore.