Non sono attualmente disponibili molte ricerche, né riflessioni teoriche sul tema della percezione pubblica delle nanotecnologie. Fra quelle esistenti non è difficile comunque rinvenire una preoccupazione ricorrente, che si può riassumere nel modo seguente: il settore emergente delle nanotecnologie deve stare attento a non ripetere gli errori commessi in quello delle biotecnologie.
La vicenda delle biotecnologie viene infatti assunta come esempio paradigmatico per il fatto di non aver seriamente considerato fin dall’inizio la questione del loro “impatto sociale”, generando così le condizioni per il rallentamento e, in alcuni casi, addirittura per il blocco totale di questo settore di ricerca
Con l’espressione “impatto sociale” si è soliti far riferimento – non necessariamente in modo congiunto – a due aspetti. Da un lato viene posta attenzione ai potenziali rischi per la salute, per l’ambiente e per la società derivanti dallo sviluppo delle applicazioni biotecnologiche; dall’altro si intende mettere in evidenza il ruolo che i cittadini – talvolta definiti utenti, oppure consumatori, o semplicemente pubblico – giocano nell’orientare i destini dell’innovazione tecno-scientifica. La sottovalutazione di questi aspetti, in particolare di quest’ultimo, da parte di scienziati, di politici e di imprenditori avrebbe alimentato la crescente opposizione dell’opinione pubblica alla ricerca e allo sviluppo di applicazioni biotecnologiche, specie nell’ambito agro-alimentare.
Nel caso delle nanotecnologie la morale sarebbe dunque assai semplice: bisogna imparare la lezione e assumere fin dall’inizio le opportune iniziative.
Tuttavia non è affatto chiaro quale sia la lezione da imparare, e, quindi, quali iniziative sarebbero “opportune”.
Pur semplificando un dibattito ancora in corso, è possibile infatti individuare almeno due diverse modalità di interpretazione delle cause che hanno portato all’attuale situazione per quanto concerne le biotecnologie.
Da un lato molti osservatori ritengono che l’opposizione alle biotecnologie rappresenti il risultato dell’azione convergente di tre ordini di fattori: una diffusa ignoranza in materia, una sempre più radicata cultura antiscientifica e un’azione disinformatrice dei media. La maggior parte delle persone – secondo questa prospettiva, generalmente definita deficit model – sarebbe contraria agli OGM e alla relativa ricerca perché non dispone delle conoscenze scientifiche necessarie a giudicare con competenza e perché sarebbe condizionata da un irrazionale rifiuto della scienza, a sua volta sostenuto dall’ignoranza; irrazionalità e ignoranza a loro volta alimentate da mass-media quanto meno impreparati, se non addirittura volutamente impegnati in campagne antiscientifiche.
Se il problema viene inquadrato in questi termini, allora la soluzione non può che essere quella di attivare una serie di iniziative finalizzate a colmare il deficit, per esempio aumentando e migliorando le attività di divulgazione, riconoscendo una maggiore rilevanza alla formazione scientifica nei percorsi scolastici, moltiplicando le occasioni per accrescere il prestigio della cultura scientifica. Un pubblico sufficientemente educato alla scienza sarà sicuramente un pubblico favorevole nei suoi confronti.
Esistono tuttavia buone ragioni e sufficienti evidenze empiriche per dubitare della solidità di questa impostazione, senza per questo ritenere che una maggiore e migliore informazione non resti comunque un obiettivo auspicabile.
Numerosi studi hanno infatti dimostrato la fallacia della catena causale “media – conoscenza – atteggiamenti” e hanno suggerito la necessità di prendere in considerazione ipotesi alternative, come quella per cui la resistenza alle biotecnologie sembrerebbe derivare soprattutto dalla percezione diffusa circa la mancanza di procedure pubbliche e affidabili per il governo dell’innovazione tecno-scientifica. Più che aumentare l’impegno sul fronte della comunicazione sarebbe quindi necessario investire in partecipazione, riconfigurando la comunicazione fra scienziati e cittadini come un dialogo fra pari piuttosto che come una strategia di persuasione top-down.
Disponiamo di buone ragioni per sostenere che, volendo trarre insegnamento dalla vicenda delle biotecnologie, sarebbe opportuno non finire nuovamente nelle secche del deficit model
Tuttavia una simile conclusione non offre ancora indicazioni immediatamente spendibili nel caso delle nanotecnologie, per le quali sembra quanto mai necessario investire tanto sul piano della ricerca, quanto su quello della riflessione.
Sul versante più a ridosso dei processi di policy sembra emergere una certa convergenza nel ritenere che la sperimentazione di nuove modalità di coinvolgimento del pubblico nei processi decisionali debba essere sostenuta con analisi in grado di valutarne appieno potenzialità e limiti. Se, infatti, possiamo considerare come acquisita la necessità di investire nella direzione della partecipazione, molto lavoro di ricerca e di riflessione rimane ancora da fare per comprendere le effettive potenzialità delle soluzioni finora adottate e per metterne alla prova di nuove. Non c’è dubbio, infatti, che le esperienze di democrazia deliberativa finora realizzate per affrontare le problematiche poste dall’innovazione tecno-scientifica abbiano mostrato anche i propri limiti, pur aprendo interessanti prospettive.
Sul versante del dibattito pubblico lo spazio per la ricerca si prefigura ancora più ampio, anche per sfruttare la contingenza favorevole del momento attuale. Il fatto che quote considerevoli della popolazione risultino ancor oggi del tutto estranee alla discussione sulle nanotecnologie – stando ai dati disponibili si tratta di almeno il 40% della popolazione europea e di almeno il 52% di quella statunitense – significa infatti che la discussione pubblica non è ancora pienamente decollata, nonostante la copertura mediale risulti in costante ascesa.
Quel che è certo, invece, è che questa larga maggioranza di persone attualmente lontana dal dibattito sulle nanotecnologie e priva di informazioni si formerà rapidamente un’opinione quando dovrà in qualche modo prendere posizione. Come documentano i numerosi studi sulle rappresentazioni sociali ciò avverrà facendo affidamento su metafore, immagini e schemi cognitivi acquisiti in precedenza.
In questo senso la vicenda delle biotecnologie rappresenta non solo un caso emblematico da cui ricercatori e policy makes possono trarre insegnamento, ma anche un precedente importante a cui le persone faranno riferimento per adottare modalità interpretative e criteri di valutazione già sperimentati. E’ anche per questa ragione, insieme alle altre finora delineate, che lo studio della percezione pubblica delle nanotecnologie potrebbe trarre grande beneficio dall’analisi degli apparati interpretativi che presumibilmente verranno utilizzati quando il dibattito pubblico sulle nanotecnologie decollerà.
Una versione più ampia di questo articolo è stata precedentemente pubblicata come «Starting off on the wrong foot: the public perceptions of nanotechnologies and the deficit model» in NANOTECHNOLOGY PERCEPTIONS, 2, 189-195 (2006).