CONTANO POCO I SOCIAL, MA LA DOMANDA DI INFORMAZIONE AFFIDABILE RESTA IN PARTE INSODDISFATTA, E LA POLIFONIA DI ESPERTI ALLA FINE HA CREATO CONFUSIONE
Un diffuso luogo comune vede nei social media un canale comunicativo di grande influenza, capace di orientare la credulità del pubblico verso contenuti infondati e addirittura verso comportamenti potenzialmente pericolosi per la propria salute.
I dati più recenti dell’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società, raccolti su un campione rappresentativo della popolazione italiana nell’ambito del progetto COMIS che vede la collaborazione tra le Università di Padova, Trento e Bologna, smentiscono con forza questo pregiudizio, evidenziando come nel corso di due anni di pandemia, su temi chiave per la salute dei cittadini, il ruolo dei social sia stato e continui ad essere decisamente minoritario, sia in termini di fruizione che di affidabilità percepita, rispetto ai canali informativi tradizionali e alle fonti istituzionali. Le pagine e i contatti social sono la fonte principale di informazione per meno del 4% e la fonte più affidabile per meno del 5%.
Fin dall’inizio della pandemia, la fonte di informazione principale per un italiano su due sono stati in realtà i notiziari televisivi e radiofonici (in alcuni periodi addirittura per due italiani su tre). Per uno su cinque il riferimento principale sono i canali web istituzionali (ASL, Regione, Governo, con picchi del 25% in alcune fasi) e per uno su dieci il proprio medico di base. Tra il 12% e il 15% dei cittadini ha avuto come fonte principale la stampa quotidiana e i relativi siti web. I dati consentono anche un approfondimento sul Nord Est. Gli scostamenti dalla media nazionale sono poco rilevanti e mettono in luce solo un maggior ricorso a tv e radio rispetto alla stampa quotidiana e ai canali web istituzionali rispetto al medico di base.
Il quadro diviene ancora più interessante se si va ad analizzare il tema dell’affidabilità delle fonti per quanto riguarda l’emergenza pandemica e in particolare i vaccini anti Covid-19. Al primo posto vi sono infatti le indicazioni date dalle fonti istituzionali (40%), seguite dal medico di base (34%). Tv e radio, pur ampiamente consultate, sono indicate come fonte più affidabile da poco più di un italiano su dieci. Decisamente minoritario anche da questo punto di vista il ruolo dei social.
In sostanza, in questi due anni di pandemia, il nostro rapporto con i mezzi di informazione ha individuato quattro tipi di fonti. Fonti informative ampiamente utilizzate, ma complessivamente ritenute non particolarmente affidabili (la TV su tutte). Fonti informative utilizzate in modo abbastanza intenso e ritenute molto affidabili (canali web istituzionali e medico di base). Fonti poco utilizzate e ritenute poco affidabili (i social). In una posizione intermedia sia dal punto di vista dell’utilizzo che dell’affidabilità percepita vi è la stampa quotidiana.
La conclusione più rilevante è che vi è stata, e continua ad esserci, da parte dei cittadini, una domanda di informazione affidabile che resta largamente insoddisfatta. Le fonti istituzionali e i medici di base, pur percepiti come fortemente credibili, non riescono infatti a raggiungere una parte della popolazione. Questo naturalmente può essere legato a limiti organizzativi, di risorse o a una scarsa abitudine a comunicare in modo chiaro e accessibile. Allo stesso tempo, da parte dei cittadini non vi è (e soprattutto non c’era prima della pandemia, che per certi versi l’ha imposta) l’abitudine a ricorrere ai canali istituzionali.
Questo vuoto comunicativo, come ben sappiamo, è stato parzialmente colmato dai numerosi esperti (virologi, immunologi, epidemiologi) che sono intervenuti (in tv, sulla stampa, sui social) diffusamente durante la pandemia. Purtroppo però questa presenza non ha avuto esiti soddisfacenti dal punto di vista informativo. Per oltre sei italiani su dieci, infatti, la polifonia di pareri si è tradotta alla lunga in una cacofonia percepita come fonte di confusione.
Nel corso dell’emergenza pandemica, si è spesso proiettato sui cittadini un pregiudizio descrivendoli come facile preda dell’informazione inaffidabile e scarsamente interessati e disponibili a capire i contenuti. I dati dell’Osservatorio dimostrano che si tratta, appunto, di un pregiudizio infondato, se non di un alibi che esonera dallo sforzo di comunicare meglio e più chiaramente. E che vi sono importanti indicazioni e spunti per le istituzioni per migliorare e rafforzare la qualità e l’accessibilità dell’informazione, anche al di là della pandemia.
Leggi l’articolo di M.Bucchi sul Corriere del Veneto.
Nota metodologica
I dati citati dell’Osservatorio Scienza e Società sono stati raccolti nell’ambito del progetto COMIS, coordinato dal Dipartimento di Biomedicina Comparata (Università di Padova) in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia (Università di Trento) e il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (Università di Bologna). Campione di 1000 unità, proporzionale e rappresentativo per genere, classe d’età e provincia di residenza della popolazione italiana con età maggiore o uguale ai 15 anni.