A confronto con le altre nazioni industrializzate siamo, come è noto, un paese poco istruito. Rispetto al valore medio dei paesi dell’OCSE, la spesa per studente universitario è circa un terzo e i laureati nella fascia di popolazione compresa fra i 24 e i 34 anni sono la metà; nel 1996 la quota di popolazione italiana in possesso di un livello di istruzione secondaria era pari al 30%, contro il 40% dei paesi OCSE, il 41% della Francia, il 55% del Regno Unito e il 60% della Germania (1).
Si tratta di un dato di contesto importante, specie tenendo conto che il relativo sottodimensionamento dei livelli d’istruzione superiore nel nostro Paese spiega, almeno in parte, la scarsa diffusione dell’abitudine alla lettura e una certa arretratezza delle conoscenze socialmente disponibili che ci contraddistingue. Tuttavia non si dovrebbe dimenticare che se siamo un popolo mediamente meno istruito di altri, lo siamo in generale e non solo nelle materie scientifiche.
I dati sugli studenti universitari iscritti e quelli sui laureati mostrano un andamento certo non incoraggiante. Gli iscritti a corsi di laurea di orientamento scientifico, rapportati al totale degli studenti universitari, sono in forte diminuzione, passando dal quasi 50% dell’anno accademico ‘51/’52 al circa 30% del 2000/2001, anche utilizzando l’espressione “orientamento scientifico” in senso lato (2). A distanza di quarant’anni si registra quindi, nel complesso, un calo quantificabile attorno al 40%. Osservando invece il fenomeno in modo più disaggregato, è possibile vedere che, mentre gli studenti iscritti a corsi di laurea in agraria rimangono sostanzialmente costanti e quelli di ingegneria sono invece in ripresa, gli iscritti a medicina si sono drasticamente ridotti dopo il boom degli anni Settanta e quelli appartenenti al raggruppamento scientifico in senso stretto risultano in costante diminuzione (3).
I dati relativi al peso percentuale dei laureati in materie scientifiche mostrano un andamento del tutto analogo, solo, ovviamente, spostato in avanti di cinque anni.
Tuttavia il problema non è solo italiano.
Già verso la fine degli anni ’80 la contrazione delle iscrizioni ai corsi di laurea scientifici era un problema seriamente avvertito negli Stati Uniti (4).
La situazione non sembra molto migliorata nemmeno in tempi recenti, visto che gli Stati membri dell’Unione Europea continuano a interrogarsi sulle cause di questa emorragia. Una recente indagine attribuisce la mancanza di interesse da parte dei giovani per gli studi scientifici e le relative carriere lavorative in prima istanza alla “mancanza di attrattiva degli studi scientifici”, successivamente alla “difficoltà delle materie” e al fatto che “i giovani non sono molto interessati agli argomenti scientifici”. Circa il 40% del campione ritiene inoltre che il lavoro scientifico prospetti carriere poco remunerative, mentre poco meno di un terzo pensa che questa mancanza di interesse sia dovuta all’immagine negativa della scienza diffusa nella società. L’analisi delle risposte fornite dal sotto-campione dei giovani che stanno ancora studiando non fa che rafforzare quanto emerge dal quadro d’insieme: quasi il 70% – contro il 60% del campione complessivo – sostiene che le lezioni scolastiche relative a materie scientifiche sono poco attraenti e il 59% – contro il 55% dell’intero campione – trova le materie scientifiche troppo difficili. Lo scarso salario degli scienziati e l’immagine negativa della scienza vengono confermati come fattori di minor rilievo (5).
Oltre alla chiara indicazione che una parte non trascurabile delle responsabilità della crescente disaffezione verso le materie scientifiche pare debba essere attribuita alla scuola (6), vale la pena di sottolineare che la fuga dalle facoltà scientifiche non è un fenomeno che riguarda solo l’Italia, ma va interpretato come l’espressione di tendenze più generali. Lungi dal desiderio di rifugiarsi nel forse consolatorio – ma certo tanto ingannevole quanto inutile – “mal comune mezzo gaudio”, constatare che la diminuzione di giovani votati alla ricerca scientifica investe tutti i paesi europei e gli Stati Uniti costituisce un prezioso elemento di valutazione per meglio comprendere la situazione italiana. Almeno sotto questo profilo, l’Italia non rappresenta un’eccezione e, di conseguenza, se il problema esiste – sarebbe grave non constatarlo – non si può certo affrontarlo ricercandone le cause nel presunto dilagare della cultura antiscientifica nel nostro Paese; o, quanto meno, ammesso che vi sia un crescente atteggiamento di opposizione alla scienza, dobbiamo osservare che si tratta di un fenomeno di rilevanza internazionale.
Allo stesso tempo, è evidente che se gli Italiani sono in media meno istruiti, la riduzione delle “vocazioni” allo studio di discipline scientifiche ci penalizza ulteriormente; ma, d’altro canto, è pur vero che rimaniamo poco istruiti in senso lato e che, quindi, il problema non riguarda solo le materie scientifiche.
Note
(1) I dati sono citati anche dalle Linee Guida del Programma di Ricerca Nazionale, approvato dal Consiglio dei Ministri il 29 giugno 2000, p.10.
(2) Vale a dire comprendendo oltre alle Facoltà scientifiche in senso stretto anche quelle relative ai raggruppamenti di Medicina, Agraria e Ingegneria. La fonte utilizzata sono le statistiche sull’istruzione dell’ISTAT.
(3) Per valutare correttamente questi dati bisognerebbe tener conto della modificazione dell’offerta formativa che nel corso tempo si è verificata, orientata, come è noto, verso un ampliamento del numero dei corsi di laurea che ha comportato un aumento dei competitori con cui i corsi scientifici, almeno in linea teorica, si devono confrontare.
(4) Vesentini E. 1994, La cultura scientifica, p.115, in Vertone S. (a cura di) “La cultura degli Italiani”, il Mulino, Bologna.
(5) “Europeans, Science and Technology” ” (Eurobarometer 55.2, Dicembre 2001), p.46-48.
(6) Ovviamente la questione non andrebbe liquidata con una battuta, ma analizzare le cause di questa situazione richiederebbe un impegno fuori dalla portata di questo contributo. Tuttavia va detto almeno che, se non altro per chi scrive, chiamare in causa la scuola non significa affatto scagionare altri attori sociali.
L’immagine è stata realizzata da un bambino di quinta elementare, ed è tratta dalla tesi di laurea in scienze della comunicazione di Anna Cirelli, dal titolo “Bambini e Scienza. Lo Science Center come luogo per esplorare e sviluppare le conoscenze scientifiche”.