Il ruolo della ricerca secondo gli italiani
La maggior parte dei cittadini esprime giudizi critici su vari aspetti delle politiche della ricerca italiana: la carenza di investimenti, il condizionamento della politica, il limitato ricambio generazionale
Nell’ultima rilevazione Observa ha chiesto agli italiani di esprimere un giudizio sulle azioni dei soggetti che operano a vario titolo nel campo della ricerca: l’Unione Europea, l’Italia e la regione di appartenenza, le università e gli istituti di ricerca pubblici, le fondazioni bancarie e gli altri enti che finanziano la ricerca, le aziende e le associazioni che si occupano di ricerca.
Solo tre soggetti che operano nel campo della ricerca non ottengono giudizi prevalentemente positivi dalla maggior parte degli italiani; in particolare, le azioni per la ricerca intraprese dallo Stato italiano sono giudicate negativamente dal 54% degli intervistati. A essere valutati molto positivamente, invece, sono soprattutto le università e gli istituti di ricerca (83%) e le associazioni che si occupano di ricerca (79%). E il 60% degli intervistati considera efficaci pure le azioni per la ricerca intraprese dalle aziende e dall’Unione Europea.
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Rispetto alla rilevazione precedente le differenze percentuali più rilevanti riguardano i giudizi sull’operato dell’Unione Europea e della fondazioni bancarie: entrambi vedono aumentare i giudizi negativi; mentre le aziende passano dal quinto al terzo posto nella classifica dei soggetti giudicati in maniera positiva. Se vi è una sostanziale soddisfazione per l’operato di gran parte dei soggetti che operano nel mondo della ricerca, vi sono altri elementi che non mancano di evidenziare rilevanti aspetti critici.
Quasi nove intervistati su dieci pensano che i ricercatori italiani siano costretti dalle condizioni in cui versa la ricerca ad andare a lavorare all’estero e che l’Italia investa troppo poco in questo settore; più dell’80% ritiene anche che la ricerca italiana sia troppo condizionata dalla politica. Una quota più bassa rispetto al 2014, ma comunque molta alta, crede che lo spazio per le nuove generazioni di ricercatori sia assai limitato (72%) ed è convinta che l’ambiente di lavoro degli scienziati sia «dominato dai maschi» (55%); mentre cresce, rispetto alla rilevazioni precedenti, l’idea che un ricercatore possa conservare la propria indipendenza anche se finanziato da un’industria (55%). Degni di nota sono altri due dati: più di sette intervistati su dieci ritengono che gli stipendi dei ricercatori siano troppo bassi e che i cittadini non capiscano fino in fondo l’importanza della ricerca.
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Le condizioni della ricerca indagate riguardano la disponibilità di finanziamenti, le condizioni di lavoro dei ricercatori, la libertà di ricerca e il valore sociale di questa. Le opinioni su questi elementi cambiano a seconda delle caratteristiche socio-demografiche dei rispondenti. Soprattutto, i giovani ritengono più spesso degli altri intervistati che l’Italia investa troppo poco in ricerca, che i ricercatori delle precedenti generazioni non lascino spazio ai giovani, che i ricercatori italiani siano costretti ad andare a lavorare all’estero e che i cittadini non capiscano l’importanza della ricerca.
Come negli anni precedenti, il fatto che molti ricercatori italiani siano costretti ad andare a lavorare all’estero e l’inadeguatezza degli investimenti in ricerca da parte dello Stato sono considerati i problemi più gravi della ricerca italiana. In linea con queste opinioni, la maggior parte degli italiani ritiene che si debbano dedicare fondi per richiamare ricercatori italiani eccellenti dall’estero (33%) e che bisognerebbe promuovere bandi di ricerca per finanziare i progetti migliori proposti dai ricercatori (26%). È interessante notare, a questo proposito, che i cittadini preferiscono questo tipo di bandi piuttosto che il finanziamento di grandi progetti speciali su temi di ricerca specifici (17%). Questa misura ottiene la stessa percentuale di preferenze della promozione di borse di ricerca riservate ai ricercatori più giovani, mentre riservare fondi di ricerca specificatamente per le donne è un’opzione poco scelta dai cittadini.
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Considerate le misure indicate, in quale aree dovrebbero essere adottate in maniera prioritaria? Tra le aree in cui lo Stato italiano dovrebbe investire di più, al primo posto c’è la Ricerca in campo biomedico (40%), seguita a circa metà strada dalle Tecnologie per l’energia (22%) e a notevole distanza dal Patrimonio culturale, l’Innovazione industriale e la Produzione alimentare. Fanalini di coda rispetto a questi temi sono invece le Tecnologie per la sicurezza e per i trasposti o la Ricerca aerospaziale.
Secondo la maggior parte degli intervistati, chi dovrebbe decidere quali misure adottare e in quali aree di ricerca investire di più è la comunità scientifica, perché solo gli scienziati possono conoscere fino in fondo le priorità della ricerca (37%). In linea con le rilevazioni degli anni precedenti, la scelta di questa opzione, ancora una volta, sottolinea la grande fiducia che i cittadini italiani ripongono nei confronti degli scienziati. Rilevante, tuttavia, anche la quota di intervistati che ritengono che a decidere dovrebbero essere tutti i cittadini, dato che gran parte della ricerca è finanziata dai contribuenti (32%). Decisamente meno frequente la posizione di chi attribuisce questa prerogativa rivolta ai rappresentanti politici, in quanto interpreti dei bisogni della società, e alle imprese e alle categorie produttive, per il ruolo che la ricerca ha nello sviluppo economico.