In tutto il mondo, gli ultimi quattro anni sono stati i più caldi mai registrati; giugno e luglio 2019 sono i mesi più caldi mai registrati nella storia.
La crisi climatica è certa; e, che sia dovuta a cause antropiche, è altrettanto chiaro. Su questo gli scienziati sono ampiamente d’accordo. Lo studio che, nel 2013, quantificò il consenso nella comunità scientifica pari al 97% (il suo autore principale afferma che il consenso è continuato a crescere) è stato scaricato un milione di volte. Tuttavia, una serie interminabile di informazioni sul clima continua e continuerà a essere presentata: dichiarazioni scientifiche complesse, speculazioni ingenue, dimostrazioni che si appoggiano sull’erroneo collegamenti tra clima e tempo, affermazioni in buona fede o manipolative e altre notizie false potrebbero continuare a descrivere una realtà inesistente.
L’ideologia politica e l’età rimangono fattori che influenzano sia l’atteggiamento nei confronti del cambiamento climatico: gli scettici climatici sono più frequentemente individui che votano partiti politici di destra e uomini anziani.
Sappiamo anche che il livello percepito di consenso scientifico gioca un ruolo nel modo in cui si guarda al cambiamento climatico. In diversi pubblici, il livello percepito di consenso scientifico si è rivelato il maggior fattore predittivo delle convinzioni personali sul climate change, in grado di influenzare anche la percezione dell’urgenza climatica e l’accettazione di politiche volte ad “arrestare, invertire, mitigare e preparare le conseguenze dell’emergenza climatica”.
Lo studio pubblicato su Public Understanding of Science ha esaminato l’importanza del consenso scientifico percepito sulle credenze rispetto al cambiamento climatico, in particolare, quando la scienza viene percepita dai cittadini come una “verità” consolidata e condivisa o quando viene percepita come un “dibattito” ancora aperto.
Il consenso scientifico potrebbe significare cose diverse in relazione ai modelli epistemici soggettivamente adottati. Una persona, per esempio, che presume l’esistenza di un’unica verità universale potrebbe interpretare il consenso come indicazione di tale verità svelata dall’applicazione rigorosa del metodo scientifico. Al contrario, una visione della scienza come pratica sociale, che abbraccia il dibattito e la graduale triangolazione su descrizioni concorrenti della realtà, potrebbe diminuire il valore del consenso come fattore di accettazione. Queste diverse posizioni potrebbero portare a risultati distinti nelle credenze antropogeniche sul CC. Per verificarlo, abbiamo testato queste nostre ipotesi durante il progetto European Perceptions of Climate Change (EPCC ). I dati di 4.048 individui sugli atteggiamenti nei confronti del CC, della politica climatica, dell’energia (ecc…) sono stati ottenuti a giugno 2016 in Francia, Germania, Norvegia e Regno Unito.
I dati sembrano aver confermato la nostra ipotesi: le persone che condividono un modello di scienza come ricerca della “verità”, le credenze sulle cause antropogeniche del CC variano maggiormente in relazione al livello di consenso scientifico che percepiscono mentre, i cittadini che vedono la scienza come “dibattito” sono meno influenzate dal consenso scientifico percepito, sebbene siano più propense a sostenere le cause antropiche come motore del cambiamento climatico.
Cosa significa questo influenza variabile del consenso scientifico per la consapevolezza dei cambiamenti climatici?
Paradossalmente, se l’idea di un’unica risposta giusta è implicita nel discorso pubblico – cioè alla scienza viene riconosciuto il ruolo di rivelatrice della “verità” – le persone sembrano essere più vulnerabili agli argomenti scettici rispetto a quando la scienza viene presentata come “dibattito” dove l’esistenza di posizioni contrapposte è implicita.
Così, comunicare una verità esclusiva corre il rischio di allontanare il pubblico e distogliere l’attenzione dalla valutazione della validità di metodi, presupposti, qualità degli argomenti scientifici … per concentrarsi, invece, sull’unanimità o meno degli scienziati.
La comunicazione pubblica della scienza come “dibattito”, al contrario, potrebbe gradualmente rinforzare il discernimento critico delle informazioni, la loro fonte e il loro contesto, esercitando un’azione contraria alla formazione dello scetticismo di fronte a informazioni contraddittorie e incerte. Anziché creare ostacoli alle credenze o all’azione, le informazioni complesse e ambigue sui cambiamenti climatici che continueranno a fluire potrebbero essere ricevute come una gradita indicazione del processo scientifico.
L’articolo è stato pubblicato originariamente sul blog di Public Understanding of Science.