Negli ultimi anni gli orientamenti degli italiani si sono spostati sempre più a favore degli investimenti in energia nucleare. Dal 2003 a oggi, i favorevoli a questo investimento sono passati da poco più del 22% a quasi il 42%; nello stesso periodo i contrari sono diminuiti dal 56% al 39% circa (visualizza la tabella e il grafico).
Per la prima volta, quindi, a oltre vent’anni dal referendum, che sancì l’abbandono del nucleare in Italia, gli orientamenti positivi superano quelli negativi.
Un italiano su cinque resta incerto, ma negli ultimi due anni la percentuale di chi non si esprime è leggermente diminuita – slittando plausibilmente verso atteggiamenti favorevoli, giacché la quota di contrari è stabile rispetto alla precedente rilevazione del 2007. Da notare che il nucleare vede aumentare – seppur leggermente – la propria rilevanza anche nelle indicazioni che i cittadini italiani danno in materia di settori di ricerca in cui investire: il nucleare figura adesso al terzo posto, appaiato con le biotecnologie e dopo le ricerche sui mutamenti del clima e le energie rinnovabili.
Quali sono le ragioni di questo mutamento? I nuovi dati dell’Osservatorio Scienza e Società consentono interessanti approfondimenti. Da un lato, è piuttosto evidente il peso della percezione della congiuntura economico-politica: la necessità di ridurre la dipendenza dai paesi produttori di petrolio è la prima motivazione dei favorevoli. Molto rilevante appare all’opinione pubblica anche il rischio di esaurimento delle attuali fonti di energia. Negli ultimi due anni, tuttavia, è cresciuta significativamente anche l’attenzione alla dimensione internazionale: il fatto che altri Paesi, anche in Europa, investano nella produzione di energia nucleare è divenuto un aspetto decisivo per il 28% dei favorevoli (rispetto al 19% del 2007). È possibile che le recenti strategie di collaborazione transnazionale messe in campo da soggetti politici ed economici abbiano inciso in qualche misura su questa percezione. D’altra parte, anche su temi di diversa natura, è un dato ricorrente che l’opinione pubblica italiana sia più sensibile a iniziative e politiche che emergono in un contesto europeo e internazionale.
Tra i contrari è ormai schiacciante il peso di coloro che ritengono più opportuno investire in fonti rinnovabili (dal 45% al 56% negli ultimi due anni), mentre la preoccupazione per la sicurezza e soprattutto per la localizzazione degli impianti sembra passata decisamente in secondo piano (dal 17% al 7%). Diminuisce di rilevanza, ma resta comunque decisivo per un quinto dei contrari, il problema dello smaltimento delle scorie.
La quota di contrari è massima tra i più giovani (tra i 15-19enni raggiunge il 53%) e tra i residenti nel Nord-Ovest (46%). Ma il dato più interessante riguarda probabilmente il rapporto con l’alfabetismo scientifico, cioè con la competenza generale in materia di scienza e tecnologia. Man mano che questa cresce, cresce anche la propensione a investire nel nucleare, ma solo fino ai livelli medio-alti. Tra i più alfabetizzati (e in parte anche tra i più scolarizzati) in assoluto, tornano a prevalere i contrari.
Un’indicazione che si riscontra in numerosi studi sulla percezione di questioni scientifico-tecnologiche potenzialmente conflittuali. E che deve certamente far riflettere. Lo stereotipo che attribuisce unicamente all’ignoranza e alla scarsa informazione le riserve di alcuni cittadini su temi come il nucleare è certamente da rivedere. Il significativo spostamento di orientamenti in materia di investimenti nel nucleare negli ultimi anni in Italia appare dovuto a una diversa percezione del più ampio contesto economico e politico, più che a un’effettiva riconsiderazione specifica della produzione di energia nucleare in quanto tale.
Leggi l’articolo di Massimiano Bucchi pubblicato su Tutto Scienze – La Stampa, 24 giugno 2009.