Sfida a Bush. Clonati embrioni umani per battere il cancro
Il Messaggero, 12 dicembre 2002
La prestigiosa università californiana di Stanford ha annunciato che clonerà embrioni umani finalizzati alla ricerca nel settore delle cellule staminali. Ovviamente, non si tratta di operare una clonazione per far nascere un nuovo essere umano – la clonazione riproduttiva -ma di una clonazione che si limita a produrre un embrione formato da qualche decina di cellule immature o-“staminali”. Queste cellule, coltivate in vitro, dovrebbero essere utili per sperimentare nuove terapie anti-cancro o per curare malattie degenerative come l’Alzheimer o il Parkinson.
L’annuncio della ricérca sui cloni è stato dato da I r v i n g Weissman,
che dirigerà un nuovo istituto creato grazie a una donazione di oltre 12 milioni di euro da parte di un anonimo mecenate. Weissman, che è un biologo di chiara fama, convinto assertore della ricerca sulle cellule staminali, aveva già testimoniato al Senato americano in favore della clonazione terapeutica, osteggiata da Bush. La decisione della potente università della West Coast suona quindi come una sfida nei riguardi del presidente statunitense che aveva limitato i finanziamenti federali alle ricerche sulle linee di cellule staminali già disponibili prima dell’ agosto 2001. Le linee di cellule staminali ammesse nelle ricerche finanziate da fondi federali — gli istituti di ricerca privati non sono invece vincolati a questa norma – sono poco più di una settantina e soltanto una decina di loro sono in condizioni adatte per la ricerca. Il nuovo progetto di Stanford mira invece a produrre numerose linee di cellule staminali, ottenute attraverso l’inserimento del nucleo di una cellula proveniente dal corpo di un uomo o di una donna in una cellula-uovo svuotata del suo nucleo. Questa verrà poi coltivata in laboratorio fino alla formazione della blastocisti che si verifica a circa 6 giorni dall’inserimento del nucleo, dopo di che le cellule staminali saranno prelevate e la blastocisti distrutta.
E’ proprio questa interruzione precoce dello sviluppo che porta Weissman – e con lui altri scienziati – a sostenere che non si possa parlare di embrione vero e proprio. Una blastocisti di 5-6 giorni è ancora un ammasso di cellule tra loro simili: in condizioni naturali essa non è ancora impiantata nell’utero ed è priva di quei differenziamenti come l’abbozzo del sistema nervoso. Questo inizia a formarsi intorno al 16° giorno di vita
intrauterina, è soltanto intorno alla quarta settimana di vita che inizia a svilupparsi il cervello e alla settima che le cellule nervose manifestano una sia pur rudimentale attività elettrica.
La decisione di Stanford segna una nuova tappa nella sperimentazione sulla clonazione terapeutica e ridà la palla agli scienziati americani che temevano che altri paesi, come il Regno Unito o la Cina, potessero raggiungere un significativo vantaggio in questo settore che, oltre ad aspetti medici, potrebbe anche avere importanti ricadute economiche. Nello sfidare Bush, l’università di Stanford ha indubbiamente tenuto conto del fatto che la maggior parte dell’opinione pubblica è in favore della ricerca sulle cellule staminali.
Anche in Italia i risultati di un’indagine del Centro Studi Observa-Scienza, presentata ieri in anteprima al Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’ambito di un convegno organizzato dalla Fondazione Eni Enrico Mattei, indicano che oltre quattro italiani su dieci considerano la ricerca sulle cellule staminali come un settore che merita un investimento prioritario, nella convinzione che tale ricerca potrà contribuire a curare malattie degenerative, in constante aumento in quei paesi dove la vita media si sta allungando in misura sempre più sensibile.
di ALBERTO OLIVERIO