Nell’ampia discussione sul federalismo di questi ultimi mesi, relativamente debole è stata l’attenzione dedicata alle sue implicazioni per le politiche della ricerca scientifica. Come conciliare l’enfasi su responsabilità e priorità locali con un tema – quello della ricerca, appunto – che sempre più si caratterizza, in termini di strategie e risorse, a livello transnazionale?
Un esempio che ha fatto scuola in questi anni è quello della regione dell’Øresund, tra Svezia e Danimarca. La forte integrazione tra pubblico e privato, tra università e aziende, ma soprattutto la collaborazione tra le due regioni – marcata anche dalla costruzione di un ponte di 16 chilometri che collega fisicamente le città di Malmö e Copenhagen – hanno reso la zona un caso di eccellenza nella ricerca e nell’innovazione.
L’area può contare oggi su un consorzio di dodici università impegnate a coordinare e integrare i propri sforzi per elevare la qualità della propria offerta e la capacità di attrarre i talenti migliori, sei parchi scientifico-tecnologici, oltre duemila aziende e cinque piattaforme di attività nei settori dell’IT e telecomunicazioni, logistica, alimentazione, studi sull’ambiente, medicina e biotecnologie. Multinazionali quali Sony Ericsson, Astra Zeneca, Tetra Pak, Novo Nordisk (ma anche numerose piccole e medie imprese ad elevato tasso di innovazione) hanno trovato nell’ Øresund un habitat ideale. Le 300 aziende attive nei settori delle biotecnologie e delle scienze della vita, con moltissime affiliate di aziende internazionali, danno lavoro a 40.000 dipendenti nel solo settore privato e 10.000 ricercatori tra pubblico e privato, attirando oltre 700 milioni di euro di investimenti.
È anche grazie a questi elementi che la regione svedese-danese è riuscita a presentarsi come il candidato più autorevole ad ospitare, a partire dal 2018, lo European Spallation Source, una grande infrastruttura europea per la ricerca sui materiali.
Si dirà che si tratta di modelli di difficile applicabilità alle nostre latitudini, favoriti da non trascurabili condizioni di contesto, non ultima la competenza linguistica (in inglese) e la prossimità delle culture, anche amministrative.
Quello dell’Øresund resta, in ogni caso, un esempio significativo di come uno stretto rapporto della ricerca con il territorio non debba necessariamente tradursi in miopia localistica o in carenza di una più ampia visione strategica.
Agli ottimisti non saranno sfuggiti i più recenti dati ISTAT che segnalano, in alcune regioni italiane, una significativa crescita degli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo. Il nostro territorio ha altresì una storica tradizione di contatti e cooperazione con le vicine regioni dell’Europa Centrale e del Mediterraneo. Saperla valorizzare anche nella ricerca potrebbe essere una delle sfide più significative per la nuova stagione federalista.
Massimiano Bucchi è Professore di Scienza, Tecnologia e Società all’Università di Trento.