Quasi l’80% degli Italiani è favorevole all’utilizzo degli esami del dna nell’ambito della lotta alla criminalità.
Terrorismo e violenza sono tra le principali preoccupazioni degli Italiani e l’esame del Dna è considerato da almeno un Italiano su due il contributo più importante che la scienza può dare alla lotta alla criminalità.
E’ quanto emerge dall’indagine “Dati genetici, Sicurezza e Opinione Pubblica in Italia” promossa dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri e realizzata da Observa – Science in Society, e presentata martedì 7 marzo 2006 a Roma, presso la Camera dei Deputati, Sala delle Colonne, con interventi di Leonardo Santi (Presidente CNBB), Massimiano Bucchi (Università di Trento), Giovanni Tinebra (Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) e la partecipazione di Luciano Garofano (Comandante dei RIS Carabinieri di Parma) e Aldo Spinella (Dirigente superiore tecnico direzione centrale-anticrimine polizia scientifica).
L’indagine rileva che quasi il 90% dei cittadini sarebbe disposto a rendere accessibili le proprie informazioni personali in vista di una maggior tutela della propria sicurezza: oltre il 60% lo farebbe addirittura su ogni tipo di informazione relativa alla sua persona.
Sfiora l’80% la quota di quanti sarebbero nel complesso favorevoli all’utilizzo degli esami del DNA nell’ambito della lotta al crimine. Almeno un Italiano su due (57,2%), in particolare, è favorevole al prelievo della saliva per qualsiasi tipo di crimine, mentre poco meno di uno su tre (30,6%) ne vincolerebbe l’impiego a particolari tipi di reati, come la violenza sessuale, l’omicidio o il terrorismo.
Non sempre, tuttavia, la disponibilità all’utilizzo degli esami del DNA si accompagna ad una piena comprensione della loro natura e delle loro potenzialità. Se quasi il 90% individua nei campioni di sangue e saliva un materiale suscettibile di essere usato per estrarre il DNA, oltre il 30% ritiene che anche un’impronta digitale possa prestarsi a fornire lo stesso tipo di informazioni; inoltre per una quota non trascurabile di intervistati, questi esami sono potenzialmente in grado di rivelare anche predisposizioni a svolgere certi lavori o inclinazioni a compiere atti criminali.
Dall’indagine infine emerge che la grande maggioranza degli Italiani (85%) considera giusto conservare i dati del DNA di criminali e sospettati in una speciale banca dati a disposizione delle forze dell’ordine. La percentuale di favorevoli resta al 60% anche quando si parla di creare una banca dati del DNA a scopo identificativo estesa a tutti i cittadini.
Il motivo principale dei contrari ad un simile archivio è il rischio di violazione della privacy (59,2% dei contrari); ma non manca chi teme che la creazione di un archivio centrale possa “aprire la strada alla schedatura di massa” (20,6%) oppure possa favorire la discriminazione nell’ambito del lavoro (18%).
Chi invece è favorevole ne consentirebbe l’accesso in primo luogo alle Forze dell’Ordine (90% dei favorevoli) e in secondo luogo alla Protezione Civile (74%) per l’identificazione delle vittime nel caso di calamità naturali e agli scienziati (71%) per migliorare le loro conoscenze da utilizzare poi in ambito investigativo.
Il rapporto completo della ricerca è accessibile ai soli soci di Observa, cliccando qui
L’ indagine è stata condotta tramite interviste telefoniche su un campione di 1011 casi rappresentativo della popolazione italiana sopra i 15 anni; la supervisione scientifica è di Federico Neresini (Università di Padova), Massimiano Bucchi (Università di Trento) e Giuseppe Pellegrini (Università di Padova) in collaborazione con Valeria Arzenton.