Le biotecnologie sono state probabilmente la questione più discussa, nell’ultimo decennio, nell’ambito delle relazioni tra scienza e società. Quali lezioni è possibile trarre per evitare che le criticità riscontrate su questo tema nel rapporto tra esperti, decisori politici e cittadini si ripetano anche su questioni emergenti quali, ad esempio, le nanotecnologie? Alcuni spunti di riflessione.
1) Comunicare scienza e tecnologia non significa solo illustrare le proprie ragioni, per quanto ampiamente e solidamente documentate. Comunicare significa anche ascoltare e in questo modo comprendere il contesto sociale e culturale in cui un’innovazione deve inserirsi. Nel caso degli Ogm, ad esempio, questo doveva portare a considerare la profonda valenza simbolica e culturale che il cibo e le abitudini alimentari rivestono per i cittadini di Paesi europei come l’Italia.
2) Allo stesso modo, rapportarsi a interlocutori della società civile significa contemplare che vi siano in gioco punti di vista e perfino razionalità diverse. Non vi è dubbio che sul piano sostanziale non vi sia alcun rapporto tra biotecnologie e vicende come quella della ‘mucca pazza’: ma come trascurare l’impatto che quel caso ed altri simili hanno avuto nell’incrinare la fiducia dei cittadini nell’efficacia e nella trasparenza dei raccordi tra expertise scientifica e decisione politica?
3) Un’innovazione di grande impatto sulla vita quotidiana non può vivere senza una rete di soggetti che la sostengano: rete che oltre agli esperti e i loro dati, deve includere, ad esempio, aziende, associazioni, pazienti. Nel caso degli Ogm, si è puntato molto sui benefici per gli agricoltori, trascurando un anello della catena nel frattempo divenuto sempre più rilevante: i consumatori e le grandi catene di distribuzione commerciale.
4) Una gestione consapevole dei rapporti tra sapere scientifico, decisione politica ed opinione pubblica richiede un’attenzione particolare, tra l’altro, alla percezione sociale di eventuali divisioni entro la comunità scientifica sui temi oggetto di scelte pubbliche. A torto o a ragione, sia sugli Ogm che sul tema della ricerca su cellule staminali di embrioni la percezione che è prevalsa in ambito pubblico è stata quella di una comunità di esperti attraversata da significative divisioni ed ampi disaccordi: si ricordi il caso dei pareri contraddittori dati nel 2000 al Governo Amato dal Consiglio superiore di sanità e dall’Istituto superiore di sanità sull’opportunità o meno di ritirare dal commercio amidi e farine derivati da mais e colza transgenici. Con inevitabili ripercussioni sulla possibilità che la conoscenza degli esperti possa orientare in modo non problematico e pienamente legittimato agli occhi dei cittadini le scelte cruciali che simili questioni richiedono.
5) Se il ‘rischio zero’ è certamente impossibile da garantire tanto da parte degli esperti quanto dei decisori, non è detto che sia questo che necessariamente i cittadini chiedano. Anzi, tutte le indagini nazionali e internazionali su atteggiamenti e percezione delle biotecnologie ci confermano che i cittadini sono disposti, sì, a correre dei rischi, ma a patto che sia loro chiaro il potenziale beneficio. Così, ad esempio, gli italiani sono persino più aperti della media europea ad applicazioni quali gli xenotrapianti, ritenendo che valga la pena di correre dei rischi (che pure percepiscono) a fronte di potenziali benefici terapeutici. Nel caso degli Ogm, i potenziali benefici prospettati non sono risultati sufficientemente convincenti da bilanciare le forti resistenze a cambiare consolidate pratiche come quelle alimentari. La prospettiva che la loro introduzione andasse a beneficio del Terzo Mondo è apparsa scarsamente persuasiva a un pubblico che – anche qui, a torto o ragione – li percepisce in stretto collegamento con le grandi multinazionali.
Questioni di non facile risoluzione, ma su cui riflettere in vista delle numerose sfide che certamente continueranno a mettere alla prova, nei prossimi anni, il rapporto tra scienza e società.