L’analisi delle controversie rappresenta uno strumento prezioso per comprendere le modalità con cui le persone accedono alla scienza e la utilizzano per influenzare il cambiamento della legislazione sull’inquinamento ambientale e delle sue applicazioni. Le dispute legali sono particolarmente illuminanti nell’offrire agli studiosi l’opportunità di comprendere la posizione delle varie parti in gioco, durante la creazione di prove scientifiche policy-relevant. Deposizioni, documenti, testimonianze permettono di penetrare nei pensieri di scienziati, cittadini e associazioni di categoria, identificando mettendo in luce fattori sociali e politici insiti nella conoscenza scientifica, specialmente laddove esiste un disaccordo.
Il lavoro comparativo sulle rivendicazioni scientifiche, inoltre, può produrre esiti inattesi, offrendo insight e nuovi spunti di riflessione sulle rispettive culture degli attori coinvolti.
La comparazione delle forme di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini nelle questioni di scienza e tecnologia, dunque, non porta soltanto ad identificare ed esaminare i differenti risultati raggiunti e i meccanismi di cambiamento in atto, ma consente anche di comprendere quanto le norme culturali e sociali incidano sulla produzione della scienza pubblica e sul cambiamento normativo ambientale.
I cittadini che vivono e lavorano vicino all’industria hanno un interesse acquisito ad essere informati sulle questioni di salute ambientale e, in particolare, a sapere se e quanto l’esposizione a prodotti e rifiuti pericolosi incida sulla propria salute e sul proprio benessere. Spesso è accaduto che le evidenze scientifiche necessarie per definire la regolamentazione ambientale e lavorativa fossero prodotte, almeno inizialmente, dalle industrie. In alcuni casi, non è stato effettuato alcun controllo effettivo e le norme industriali sono state semplicemente sostituite con le soglie limite stabilite per l’esposizione umana in ambito normativo. Tutto ciò ha trasformato l’operaio e il cittadino in una sorta di “laboratorio pubblico”, esposto ad occasionali effetti inattesi.
Per questo le domande dei cittadini arrivano spesso in ritardo, magari dopo che i sospetti di malattia sono emersi dalle loro stesse osservazioni o durante le conversazioni con i propri vicini o colleghi.
Nel volume Designs on Nature (2005), la politologa Sheila Jasanoff spiega come in ogni società esistano “visioni condivise su ciò che rende credibile un’affermazione scientifica, visioni che cambiano a seconda degli aspetti culturali della società o della nazione (249).
La Jasanoff utilizza la definizione di “epistemologia civica” per descrivere i modi in cui il pubblico partecipa alla costruzione della conoscenza, riconoscendo così il carattere culturale e politico di questo processo. Spesso è difficile individuare la direzione del tortuoso percorso della scienza e della partecipazione pubblica o attribuire il ruolo di agente a particolari soggetti o gruppi d’interesse. Di qui l’importanza delle controversie e delle cause legali per mettere in luce alleanze, pregiudizi, e altre caratteristiche degli attori e delle organizzazioni che concorrono al processi di formazione della conoscenza civica.
Le ricerche e le analisi che ho condotto in Italia e negli Stati Uniti consentono di affermare che la produzione di conoscenze scientifiche rilevanti per i cittadini dei due Paesi presenta somiglianze e differenze. In entrambi i Paesi, vi è una regione che ha subito i danni prodotti da grandi complessi petrolchimici: Porto Marghera in Italia e il Corridoio Chimico della Louisiana negli Stati Uniti e in entrambi i casi, si è assistito ad una serie di vertenze pubbliche sull’inquinamento e l’esposizione a pericoli tossici dovuti all’industria chimica.
Fattori di tipo culturale e nazionale tendono, almeno in parte, ad influenzare – differenziandole – le modalità con cui i cittadini costruiscono o accedono alle scienze ambientali al fine di comprendere l’entità e l’impatto di pericoli chimici o le risposte date alle loro preoccupazione sull’esposizione a tali rischi.
Una categoria di confronto è rappresentata dallo “spazio riservato alla ricerca scientifica”, specificamente quella che cerca di dare risposta alle domande poste dai cittadini rispetto all’impatto delle tossine chimiche sul corpo umano e sull’ambiente. In Italia esistono numerose sedi per la produzione di scienza diretta a rispondere alle domande pubbliche. Le “piattaforme” costitute per tali attività vedono il coinvolgimento di sindacati, istituti scientifici non convenzionati, università e ONG. Nel caso di questioni di salute e di sicurezza per i lavoratori, per esempio, i sindacati insieme ad alcuni centri di ricerca universitari sulla salute e ad altri istituti indipendenti, hanno fornito conoscenza scientifica preziosa, che ha contribuito al cambiamento istituzionale e normativo. I sindacati si sono anche fatti promotori di forum civici alternativi e di spazi d’incontro per riunioni pubbliche riguardanti temi di salute e scienza.
Un esempio di “scienza” prodotta ai fini di pubblico interesse è offerto dalle attività della Fondazione Ramazzini, un gruppo di ricerca per la prevenzione del cancro, fondato negli anni Settanta con l’intento di identificare e quantificare i rischi cancerogeni di origine industriale e ambientale. Gli studi svolti dagli scienziati della fondazione hanno mostrato l’incidenza di alcune sostanze chimiche sulla salute umana, conducendo così ad una variazione dei limiti di esposizione, e ad un miglioramento delle pratiche industriali.
Altrettanto istruttivo è stato anche l’utilizzo, da parte di cittadini singoli, di studi scientifici tradizionali realizzati da istituti privati e università. Nel polo chimico italiano di Porto Marghera, un operaio industriale, dopo aver visto molti dei suoi compagni di lavoro morire di cancro, cominciò a tenere un diario e a fare domande in fabbrica. Successivamente, ricercando una serie di prove scientifiche che confermassero i suoi sospetti, reperì sia la ricerca sulla salute dei lavoratori condotta dall’Università di Padova sia lo studio realizzato della Fondazione Ramazzini. Mettendo assieme i risultati di tali studi e le informazioni raccolte in precedenza, riuscì a pubblicare una serie di articoli sulla rivista Medicina Democratica, dando così legittimità al proprio lavoro, e poté poi presentare i suoi scritti al pubblico ministero di Venezia. Questo fu l’inizio di una strada senza ritorno nel cambiamento di direzione della produzione chimica a Marghera.
Nel “corridoio chimico” della Louisiana, le modalità con cui i cittadini hanno potuto prendere parte alla conoscenza scientifica sono state sostanzialmente due. La prima pratica, denominata anche “epidemiologia popolare”, consisteva nella ricerca e nella raccolta di dati e delle informazioni utili da parte degli stessi cittadini. La seconda era volta ad utilizzare i dati per influenzare i processi di decision-making governativi. È accaduto spesso che lo studio popolare sia stato simultaneamente presentato ai media e agli ufficiali preposti, per sollecitare gli amministratori ad agire. Tuttavia le ricerche condotte dai cittadini non hanno potuto trovare legittimazione attraverso la pubblicazione in riviste specializzate, a causa della rigida divisione esistente tra scienza profana ed esperta. Gli studi dei cittadini sono utili piuttosto per motivare lo Stato ad avviare un’indagine scientifica ufficiale. In Louisiana per la verità ciò si è dimostrato poco efficace in quanto spesso lo studio ufficiale è stato progettato e realizzato con l’intento di dimostrare l’esistenza di effetti irrilevanti o addirittura nulli , per sminuire così la preoccupazione dell’opinione pubblica e sostenere lo sviluppo industriale.
Un altro modo con cui i cittadini che abitano o lavorano in luoghi esposti a rischi chimici possono trovare risposta ai loro interrogativi fa riferimento agli studi di pubblico interesse svolti da attivisti o ricercatori-cittadini in laboratori privati o sedi universitarie.
Mentre in Italia esiste una tradizione di ricerche sanitarie orientate ai bisogni di cittadini e lavoratori, come quelle condotte dalla Fondazione Ramazzini o dall’Università di Padova, in Lousiana manca una corrente di studi simile. Nel caso dei laboratori privati, se non vi sono ricercatori disposti a dedicare volontariamente tempo e risorse propri per condurre gli studi, è necessario che i gruppi di cittadini coinvolti trovino i finanziamenti. E poiché i costi generalmente sono molto elevati, gli scienziati producono il minimo indispensabile per provocare l’azione del governo o per supportare i cittadini a condurre quegli studi volti a incidere direttamente sul processo normativo.
Il coinvolgimento dei laboratori universitari invece ha incontrato molte più difficoltà. Sebbene i ricercatori universitari avessero espresso la volontà di aiutare le comunità, le università locali si sono rivelate ben poco entusiaste. Talvolta gli amministratori universitari hanno anche provato ad ostacolare gli sforzi di ricerca della popolazione, ritenendoli contrari agli interessi economici dello stato. Questo perché i cittadini, una volta in possesso di ricerche e studi scientifici universitari peer-reviewed sarebbero in grado di utilizzarli in tribunale per influenzare le azioni legali contro le compagnie chimiche.
Una differenza importante tra “la scienza” prodotta dai cittadini negli Stati Uniti e in Italia è che negli USAle norme legali impediscono che la scienza “profana” venga portata davanti alla corte. In Italia è vero il contrario. Un cittadino che conduce ricerche scientifiche può essere riconosciuto come esperto grazie alla pubblicazione dei suoi studi e all’acquisizione di reputazione. Inoltre, il sistema giuridico non è totalmente accusatorio nei confronti della scienza: i giudici infatti possono incaricare scienziati ed esperti, che agiscono nell’interesse pubblico, di fornire prove scientifiche non di parte da cui dedurre considerazioni obiettive.
Mentre non è possibile generalizzare le modalità con cui i cittadini costruiscono e utilizzano la scienza, è chiaro che per la scienza pubblica vale un discorso diverso per via dell’esistenza di norme istituzionali, sociale e legali. Sheila Jasanoff ha definito l’epistemologia civica negli Stati Uniti “contenziosa” in quanto le decisioni su questioni scientifiche assunte per obiettivi normativi sono spesso stabilite in tribunale o da altri attori di parte. La mia tesi è che in Italia l’epistemologia civica si fonda su network sociali, è decisa da vasti gruppi di cittadini e organizzazioni collegati e utilizzata nel complesso per influenzare la legislazione e la sua applicazione.
Moltissimo lavoro deve essere ancora svolto sul ruolo del contesto sociale nelle modalità di partecipazione del pubblico ai processi di formazione della scienza. Tuttavia, è chiaro fin qui che i cittadini di fronte a pericoli o tecnologie simili, tendono a scegliere percorsi diversi nella formazione e nella comprensione sia del rischio che delle misure correttive.
*Traduzione italiana a cura di Roberto Cibin
Per leggere la versione originale inglese, clicca qui.
Barbara Allen (Ph.D. in Science and Technology studies, Rensselaer Polytechnic Institute, USA, 1999) è direttrice del Programma di Scienza, Tecnologia e Società al Virginia Tech University (USA). E’ autrice del volume “Uneasy Alchemy: Citizens and Experts in Louisiana’s Chemical Corridor Disputes” (MIT Press: 2003).