Observa, in collaborazione con Poster, istituto di ricerca attivo nel campo della ricerca sociale, ha condotto uno studio su opinioni e atteggiamenti della popolazione italiana nei confronti delle biotecnologie.
Dai dati raccolti emergono alcune indicazioni interessanti su una serie di temi che sono al centro del dibattito pubblico quali la clonazione, i cibi geneticamente modificati e la fecondazione assistita e, più in generale, sulla fiducia che l’opinione pubblica attribuisce alla scienza. L’indagine consente infine alcune comparazioni con la rilevazione condotta nel 1996 a livello europeo dall’Eurobarometro sullo stesso argomento.
- Che cosa viene in mente agli italiani pensando alle biotecnologie?
In primo luogo un bambino concepito in provetta (23,7%), poi con la stessa frequenza una pecora clonata (18,9%) e un pomodoro che non va mai a male (18,9%); meno frequentemente degli organi artificiali per trapianti (16%) e un uomo che non invecchia (11,4%). Interessante notare che utilizzare il termine “ingegneria genetica” al posto di “biotecnologie” porta gli intervistati a rievocare più spesso l’immagine della pecora clonata invece che quella del pomodoro modificato. - Le biotecnologie? Ne ho sentito parlare in TV.
Che il tema delle biotecnologie sia “caldo” per l’opinione pubblica lo confermano il fatto che quasi due terzi degli intervistati (64,1%) dichiarano di averne sentito parlare nei mass media negli ultimi tre mesi. Televisione (citata da oltre la metà del campione), quotidiani e riviste sembrano nell’ordine i canali di informazione privilegiati. Circa un terzo (38,1%) afferma anche di averne parlato, almeno occasionalmente, con qualcuno (per il 9,2% è un frequente argomento di discussione). - Che cosa sappiamo delle biotecnologie?
E’ abbastanza sorprendente – e per certi versi, preoccupante – però, constatare come a questa ampia visibilità del tema non corrisponda un adeguato livello di conoscenza. Lo si comprende analizzando quella parte del questionario che chiedeva di valutare la verità o la falsità di una serie di affermazioni. Oltre un quarto degli italiani, infatti, sembra disporre di informazioni piuttosto confuse sull’argomento. Il 32,3%, ad esempio, ritiene che “i comuni pomodori non contengano geni, mentre quelli geneticamente modificati sì” e il 29,4% che “mangiando frutta geneticamente modificata i geni di una persona potrebbero a loro volta modificarsi”; una quota quasi identica pensa che “gli animali geneticamente modificati siano sempre più grandi di quelli comuni” e che sia “impossibile trasferire i geni di animali nelle piante”. Se a questi si aggiungono quanti ammettono la propria ignoranza in proposito (i “non so” che vanno dal 30% al 45% a seconda dell’affermazione), quasi due terzi della popolazione italiana appare caratterizzata da una diffusa carenza informativa sul tema delle biotecnologie. - Ma le biotecnologie sono utili o rischiose?
E’ interessante notare come il pubblico italiano discrimini fortemente tra applicazioni diverse delle biotecnologie. L’applicazione giudicata più utile dal campione intervistato è “l’utilizzo di esami genetici per individuare malattie ereditarie” (84,1%), considerata anche la meno rischiosa (la considera tale, tuttavia, il 28%). Oltre metà (58,7%) degli intervistati considerano utile anche lo sviluppo di animali geneticamente modificati per studi di laboratorio (ad esempio, il topo programmato per ammalarsi di cancro), mentre sull’utilità di introdurre geni umani negli animali per produrre organi da trapiantare il campione si spacca a metà (è utile per il 49,3%); ancora minore è la quota di quanti ritengono utile modificare geni di frutta e verdura per renderla più resistente agli attacchi dei parassiti (37%). Queste ultime tre applicazioni sono anche considerate rischiose da almeno una metà degli intervistati: la più temuta in assoluto è la modificazione dei geni di frutta e verdura, considerata molto rischiosa dal 61,9%. - Che cosa bisognerebbe fare per sviluppare e regolare il settore delle biotecnologie?
Su un aspetto praticamente tutti (92%) sembrano d’accordo: i cibi geneticamente modificati devono presentare speciali etichette di riconoscimento. Ancora più sorprendente però è che oltre due terzi del campione (74,5%), si allineino a un giudizio ancora più drastico: “si dovrebbero utilizzare solo i metodi tradizionali di coltivazione e allevamento”. Il 41,4% pensa inoltre che i metodi tradizionali possano essere altrettanto efficaci delle moderne biotecnologie nel produrre cambiamenti delle caratteristiche ereditarie di piante e animali. Convince poco, invece, la necessità di accettare qualche rischio connesso alle moderne biotecnologie pur di mantenere l’Italia competitiva rispetto ad altri paesi europei (25%). Ancor meno (19,8%) si dichiarano propensi ad acquistare frutta geneticamente modificata anche se avesse un gusto migliore di quella comune. - Ma di chi si fidano gli italiani per ciò che riguarda le biotecnologie?
Si è chiesto agli intervistati di dare un giudizio sulla credibilità di diverse fonti. Il risultato è ancora una volta di quelli che inducono alla riflessione. La fonte giudicata più credibile, “quella che dice le cose più vere sulle moderne biotecnologie”, sono le organizzazioni dei consumatori (le ritiene credibili il 35,8%). Seguono le organizzazioni ambientaliste (21,1%) e le università (16,2%). Dietro questo trio, la fiducia precipita in un baratro: le organizzazioni religiose sono indicate dal 9% e le industrie dal 3,4%. Ancora peggio vengono giudicate autorità pubbliche e partiti, ritenute le fonti più credibili rispettivamente dal 1,8% e dall’1,4% degli intervistati. - E’ cambiato qualcosa negli ultimi anni? E qual è la situazione rispetto agli altri paesi europei?
Il confronto con la rilevazione condotta a livello europeo dall’Eurobarometro nel 1996 suggerisce altre interessanti considerazioni.La prima è relativa al livello di visibilità delle biotecnologie nell’ambito dell’opinione pubblica italiana. Nel 1996, solo il 51% del campione italiano intervistato per l’Italia aveva letto o sentito qualcosa sulle biotecnologie nei tre mesi precedenti; il dato attuale avvicina il nostro paese a quelli che già nel 1996 erano i livelli di visibilità del tema in paesi come la Norvegia e la Finlandia. In Austria e Svizzera, tanto per dare un’idea, già nel 1996 quasi l’80% aveva sentito parlare di biotecnologie.
Per quanto riguarda la conoscenza, l’indice elaborato nel 1996 vedeva la conoscenza degli italiani attestata su livelli medi, inferiore a quella dei cittadini di numerosi stati nord-europei ma molto vicina a Germania e Francia e superiore a Spagna e Austria. Su alcuni temi, però, questo livello sembra essere declinato, se è vero che nel 1996 solo il 20,9% (contro il 29,9% attuale) riteneva che “i pomodori comuni non contengono geni” e solo il 18,1% (contro il 28,8%) ritenesse che mangiare frutta geneticamente modificata potesse far cambiare i geni di una persona.
Il giudizio sull’utilità delle applicazioni biotecnologiche dato dagli Italiani nel 1996 era tendenzialmente più positivo della media europea; ma anche in questo caso i giudizi sembrano almeno in parte cambiati. Lievemente diminuito il giudizio positivo sull’utilità dei test genetici per diagnosticare malattie ereditarie (dall’88,2% all’84,1%), sulla possibilità di sviluppare animali geneticamente modificati da laboratorio (dal 64% al 58,7%) e da utilizzare per xenotrapianti (dal 52,2% al 49,3%). Significativamente diminuito, invece, il giudizio sull’utilità della modificazione genetica di frutta e verdura (dal 76,1% al 37%). Per tutte le applicazioni, tranne quest’ultima (dal 44,1% al 61,9%) è lievemente diminuito il giudizio che le valuta “molto pericolose”.
Nel 1996 l’opinione pubblica italiana era una delle meno sensibili in Europa al problema delle etichette obbligatorie sui cibi geneticamente modificati: su questo aspetto, così come su altri giudizi quali la necessità di continuare a usare solo i metodi di coltivazione e allevamento tradizionali, è sensibilmente aumentata nel tempo la quota di coloro che si dichiarano d’accordo.
Per quanto riguarda le fonti di informazione ritenute affidabili, è aumentata decisamente la fiducia nelle organizzazioni dei consumatori, mentre è ulteriormente declinata quella – già una delle più basse d’Europa nel 1996 – nelle istituzioni pubbliche. E’ aumentata invece la fiducia nelle fonti universitarie.
CONCLUSIONI
Più visibilità, quindi, del tema biotecnologie. Ma si tratta di una visibilità che non porta automaticamente più informazione nell’opinione pubblica, né tanto meno maggiore adesione o fiducia allo sviluppo scientifico in campo biotecnologico. Non bisogna, tuttavia, cedere alla tentazione – assai diffusa tra i commentatori – di liquidare atteggiamenti ambivalenti o addirittura ostili come puro effetto della disinformazione. L’accresciuta accettazione di certe aree di applicazione delle biotecnologie (come accade nell’ambito della diagnostica o della ricerca biomedica) è comunque indice di attenzione nei confronti di questo tema e di una sua ascesa nell’agenda mediale e pubblica italiana. Al tempo stesso, non va sottovalutata la diffidenza legata alla pericolosità che si attribuisce alle biotecnologie; la persistenza di alcuni giudizi, in particolare sui cibi geneticamente modificati, sembra legata a resistenze culturali che vanno ben al di là di semplici lacune informative. Uno dei risultati centrali della presente ricerca è proprio mostrare che vi è una componente della sfiducia nei confronti delle biotecnologie e più in generale della scienza, che non è legata a disinformazione o scarsa conoscenza, ma anzi non di rado si abbina ad elevati livelli di interesse, informazione e partecipazione. Di fronte al tema “biotecnologie”, il pubblico italiano sembra comunque in grado di operare significative distinzioni tra i diversi ambiti di applicazione, riconoscendo maggiore utilità all’area della ricerca e terapia medica e manifestando invece diffidenza per quanto riguarda l’ambito agro-alimentare. E’ bene tenere presente, infine, la credibilità assai scarsa di cui godono, su questo tema, le fonti istituzionali e la stessa industria nei confronti dell’opinione pubblica.
L’indagine su “Biotecnologie e opinione pubblica in Italia” è stata condotta da POSTER srl, istituto di ricerca attivo nel campo della ricerca sociale e in particolare nell’area della comunicazione della scienza e innovazione tecnologica, sotto la supervisione scientifica di Federico Neresini (Università di Padova) e Massimiano Bucchi (Università di Trento), Giuseppe Pellegrini (Università di Padova) ha curato la parte di ricerca sul campo. I dati sono stati presentati in forma ufficiale nell’ambito di una conferenza stampa condotta a Roma il 31 ottobre 2000 con la partecipazione di Piero Angela.
L’indagine è stata realizzata tramite un sondaggio telefonico, svolto durante i mesi di maggio e giugno 2000. Il campione intervistato è composto da 1022 unità ed è rappresentativo della popolazione italiana con oltre 18 anni. La procedura di campionamento ha seguito due stadi. Nel primo le province sono state stratificate per regione di appartenenza e per zona geopolitica. La selezione è avvenuta in modo tale che la probabilità di inclusione delle province (in totale 44) fosse proporzionale alla dimensione di ciascuno strato. Al secondo stadio il campione è stato suddiviso sulla base delle variabili relative al genere e all’età. I dati sono stati trattati ed elaborati in forma rigorosamente anonima.