I mass media giocano un ruolo importante nella comunicazione tra scienza e società. Sono un canale evidente per la divulgazione della scienza al pubblico, un’arena per la negoziazione di temi legati alla scienza come rischio, fiducia, e priorità, e un sismografo per problemi culturali o politici che retroagiscono nella produzione di scienza. Data l’enorme importanza dei mass media in relazione alla scienza, gli studiosi di comunicazione della scienza e i ricercatori di studi sui media hanno dedicato molta attenzione a vari aspetti dei processi e dei prodotti della comunicazione di massa, ma quasi sempre attraverso nette distinzioni analitiche tra scienza e media, o tra i rappresentanti di questi domini, ossia ricercatori e giornalisti.
Ma quanto sono utili queste distinzioni per aiutarci a comprendere pratiche o relazioni concrete nella comunicazione di massa della scienza? Invece di concepire la comunicazione di massa come un’istituzione monolitica, forse è il momento di aprire questa “cosa” ed esaminare direttamente l’ampia varietà di persone e pratiche che formano i racconti diffusi dai mass media. Nel mio lavoro sulla comunicazione di massa delle scienze sociali, ho esplorato il modo in cui sono nati particolari testi e relazioni. Ho seguito le tracce delle connessioni tra testi, persone, simboli, tecnologie di informazione e comunicazione, l’articolazione degli ideali, e altri tipi di entità. Ho sempre cercato di evitare le facili distinzioni tra gruppi prestabiliti, come ricercatori e giornalisti, e qualche volta ho rifiutato del tutto di vedere la comunicazione come un flusso che dagli scienziati va al pubblico attraverso i media (e i loro portieri). Ho voluto essere aperta alla varietà di agenzie e attività che sono importanti per gli attori nella pratica.
In questo modo, ho avuto accesso a una pluralità di racconti sulla comunicazione di massa delle scienze sociali. Alcuni di essi si sono occupati del destino delle conoscenze di scienza sociale, nel momento in cui queste sono diventate la base di testi mediali. Per esempio, ho raccontato la storia di un ricercatore, che scrive regolarmente saggi per un certo giornale. Confontando i suoi testi mediali con la relazione che aveva scritto per una conferenza, ho visto come il ricercatore stesso traducesse le sue conoscenze di scienza sociale, re-interpretando aneddoti storici e capovolgendo gli esempi. Il ricercatore aveva talmente tanta familiarità con le tecniche di divulgazione, che raramente il direttore apportava cambiamenti nei suoi testi. Ma nelle lettere al direttore, fu accusato di essere troppo colorito e di distorcere l’evidenza storica. Poiché l’accusa proveniva da un giornalista, siamo ben lontani dall’immagine degli scienziati come ricercatori della verità e dei giornalisti come sensazionalisti.
Ho anche esaminato il modo in cui sono messi insieme particolari testi mediali. Non sono prodotti meccanicamente da un apparato mediale che opera secondo una particolare logica mediale. A contrario, ogni volta che si crea un racconto, bisogna adeguare gli elementi in nuovi modi, cosicché persone, cornici, aneddoti, ideali e altri tipi di elementi trovino il proprio posto nella collettività. La cornice di un dato racconto si deve trovare bene con l’interesse del direttore (o l’interesse del direttore si deve adeguare in modo da adattarsi al racconto). O forse i fatti statistici si devono adeguare per confermare la cornice di un racconto (o il racconto si deve adeguare in modo da adattarsi ai numeri statistici).
Inoltre, ho raccontato storie sulla costruzione e negoziazione di differenti posizioni esperte. Un ricercatore era obbligato a commentare di continuo. Sembrava che gli fosse chiesta qualsiasi cosa. Il telefono risultava assolutamente centrale per l’instaurazione di una ‘relazione professionale’ tra il giornalista e questo ricercatore. Non si erano mai incontrati di persona, e il giornalista raccontava quanto fosse fondamentale per il suo lavoro che le fonti esperte avessero il numero di cellulare sulla loro pagina web. Anche durante la notte o quando viaggiava, poteva sempre entrare in contatto con questo professore sul suo cellulare, e il professore raccontava che richiamare i giornalisti era sempre stata una priorità per lui, invitando i suoi colleghi a fare lo stesso.
Un altro racconto approfondiva una particolare relazione tra un ricercatore e una giornalista, che avevano un interesse comune nella ‘pratica’. La giornalista considerava il ricercatore come una porta d’ingresso per molti interessanti racconti ‘di vita reale. Lui le dava accesso al suo materiale empirico, invitandola a convegni e conferenze, e le dava un sacco di informazioni su possibili racconti. È interessante notare come avessero due modi differenti di lavorare insieme (e di lavorare con gli altri). In alcuni casi, i giornalisti producevano lunghi testi in cui si permetteva al ricercatore di contribuire con un vocabolario molto complesso, e in altri casi utilizzavano lo stesso ricercatore in maniera molto tradizionale per elaborare una sola dichiarazione esperta da usare in un articolo semplice – proprio come con la ‘fonte esperta professionale’ menzionata sopra.
Il ‘conflitto’ non è intrinseco alla relazione tra giornalisti e ricercatori. Ho raccontato una storia di conflitti tra ricercatori e giornalisti, dove un ricercatore si sentiva maltrattato dai ‘media’. Ma la mia dissertazione ha presentato anche racconti in cui il conflitto non era presente affatto. E conteneva un racconto in cui non c’era conflitto tra un ricercatore e un giornalista, ma tra un professore e i suoi colleghi. Questo professore si collocava tra gli ammiratori della ricerca applicata, tollerante verso i criteri giornalistici dei media, e bravo a offrire pareri basati su prove e ad assicurarsi borse di studio. In questo modo, si era messo contro alcuni dei suoi colleghi, visti come imbranati teorici, ambiziosi e orientati a livello internazionale. In questo caso, allora, i ricercatori erano considerati ‘tipici accademici’ dal loro collega, non dai giornalisti.
Dunque che cosa ci raccontano queste storie? Ci mostrano quanto le posizioni professionali possano essere instabili, quanto siano dinamiche le relazioni nella sfera pubblica, e quanto il contenuto della cronaca mediale sia negoziato giorno per giorno. Ci insegnano che la comunicazione di massa non è automatizzata, e che non ci sono solo molte posizioni da occupare ma molti modi per instaurare posizioni e relazioni, e molti modi di negoziare l’inclusione di elementi all’interno delle collettività che sono la precondizione affinché i testi mediali giungano all’esistenza.
Ursula Plesner ha discusso recentemente la sua tesi di dottorato “Smontare la comunicazione di massa della ricerca – Studio sulla costruzione di testi, relazioni e posizioni nella comunicazione delle scienze sociali”, Roskilde University, Danimarca. Ora è ricercatrice universitaria in comunicazione dell’innovazione al Dipartimento di Management, Politica e Filosofia, Copenhagen Business School, Danimarca.