E’ uscito il libro “Journalism, Science and Society: Science Communication Between News and Public Relations”, curato da Massimiano Bucchi e Martin Bauer ed edito da Routledge.
La comunicazione pubblica della scienza si è storicamente sviluppata in un panorama mediale e in un contesto di ricerca profondamente diversi da quelli odierni. Questo cambiamento è da un lato espressione di più generali trasformazioni della professione giornalistica sul piano organizzativo e tecnologico. Dall’altro, è legato all’emergere di attività di pubbliche relazioni – e più in generale dell’attiva proposta di contenuti e materiali comunicativi – come componente sempre più significativa delle attività delle istituzioni di ricerca.
Vuoi per un’osmosi di modelli organizzativi dovuta alle crescenti interazioni della ricerca con il mondo aziendale, vuoi perché una buona visibilità mediale è elemento a cui i decisori politici e gli stessi investitori finanziari sono sempre più sensibili, fatto sta che non vi è università o istituto di ricerca che non disponga, ormai, di uffici e staff addetti alle pubbliche relazioni e che non organizzi conferenze stampa per presentare le proprie attività più significative. In generale, dunque, il contatto con i media non è più subìto o al massimo mal tollerato; al contrario, sempre più frequentemente le istituzioni di ricercaperseguono attivamente attenzione e risonanza nei media.
Qualche tempo fa, commentando il proprio ritardo competitivo nei confronti della NASA in occasione della missione su Marte che aveva ricevuto enorme risalto sui media internazionali, il direttore della European Space Agency indicò tra i fattori decisivi il ruolo degli uffici stampa. Oltre ad essere più nutrito e agguerrito, quello della NASA poteva infatti contare su una più rapida circolazione della comunicazione verso l’esterno, che nel caso dell’ESA deve invece superare numerosi filtri e controlli burocratici.
Già a metà degli anni Novanta un quarto degli articoli su temi scientifici pubblicati dai quotidiani inglesi nascevano da un comunicato stampa di un’istituzione di ricerca. Oggi si stima che circa due terzi dei lanci d’agenzia su temi scientifici siano basati su comunicati e altro materiale fornito da uffici stampa e di pubbliche relazioni. Questo è dovuto anche alla semplificazione e alla riduzione dei costi permessa in ambito giornalistico dalla diffusione di “kit informativi” predisposti dai professionisti delle pubbliche relazioni e pronti per essere trasformati in servizi giornalistici.
Così negli ultimi anni, al ridimensionamento o alla chiusura di molte redazioni che si occupavano di scienza e tecnologia, è corrisposto un aumento di giornalisti e personale impiegato da istituti e imprese nelle pubbliche relazioni. Nel complesso, si stima che attualmente in Germania vi siano circa sessantamila giornalisti attivi e circa ventimila impiegati nelle pubbliche relazioni. Negli USA, lo staff impegnato in pubbliche relazioni (circa 162.000) ha superato ormai nettamente il numero dei giornalisti (circa 122.000).
Simili trasformazioni non sono esenti da criticità. L’80% degli articoli su questioni scientifiche sulla stampa tedesca sono basati su un’unica fonte e meno di un terzo la menzionano esplicitamente. Vi sono addirittura esempi di pagine sulla scienza interamente ‘appaltate’ all’ufficio stampa della locale Università, come nel caso del quotidiano tedesco Badische Zeitung di Freiburg. Tutto ciò – e in particolare la scarsa trasparenza nel rendere esplicita la provenienza e l’utilizzo di materiali di PR – rischia di mettere in discussione l’indipendenza e la capacità critica del giornalismo scientifico.
Neppure la fiction è esente da questi processi di ‘colonizzazione’ da parte di fonti e istituzioni: recentemente l’American Film Institute ha organizzato, in collaborazione con il Pentagono, seminari con scienziati e sceneggiatori per produrre film che invoglino i giovani americani a scegliere facoltà scientifiche. L’altra faccia di questo fenomeno è che l’esposizione mediale delle questioni legate alla scienza e alla tecnologia non avviene più dopo che il dibattito scientifico si è stabilizzato, ma entra in vivo nelle fasi di maggiore incertezza e controversia tra gli stessi specialisti.
La tradizionale sequenza lineare ‘ricerca/discussione informale tra colleghi/pubblicazione specialistica ufficiale/comunicazione ai policy makers/assorbimento attraverso la manualistica/divulgazione al grande pubblico’, caratteristica della comunicazione della scienza sino a tutta la stagione della big science, è continuamente spezzata e ricomposta. Il web, tipicamente, infrange l’ordine sequenziale e la tenuta di quei ‘filtri’ che in passato contraddistinguevano il percorso dei risultati dal ricercatore al grande pubblico.
Una ricerca con Google su ‘applicazioni delle nanotecnologie’ restituisce simultaneamente, fin dalla prima pagina, articoli specialistici, pubblicità commerciali, documenti di policy, opinioni entusiaste sul futuro delle nanotecnologie e preoccupazioni per alcune loro implicazioni. Iscrivendosi a gruppi di discussione o mailing list, chiunque può trovarsi nel mezzo di controversie tra esperti un tempo accuratamente celate ai non specialisti; o accedere su un certo tema (poniamo, gli Ogm) tanto alle posizioni degli scienziati ‘ortodossi’ quanto a quelle dei più scettici.
Una conseguenza generale è che le routines produttive e gli interessi specifici dei media divengono sempre più influenti nel definire l’agenda della scienza e della tecnologia. Addirittura, si registra non di rado un adattamento della comunicazione scientifica alle cadenze e alle esigenze della copertura mediale. La mappatura del genoma umano, ad esempio, con i suoi ripetuti annunci di successi parziali, promessi o semplicemente imminenti, corrispondeva idealmente al bisogno dei media di eventi specifici a cui agganciarsi, senza i quali un progetto di ricerca così lungo diventa difficilmente ‘notiziabile’. E’ a questi scenari profondamente cambiati e alle loro reciproche interazioni che bisogna guardare per comprendere il ruolo della comunicazione nella scienza contemporanea.
Journalism, Science and Society: Science Communication Between News and Public Relations è pubblicato in questi giorni da Routledge.
Curato da Massimiano Bucchi (Università di Trento) e Martin Bauer (London School of Economics), contiene saggi di studiosi, giornalisti scientifici ed esperti di pubbliche relazioni in campo scientifico-tecnologico da cinque continenti. Tra gli autori Manuela Arata (INFM), il due volte vincitore del premio Pulitzer Jon Franklin, Tim Radford (Guardian), Jon Turney (Imperial College).
Un estratto del presente contributo è stato pubblicato su Nova24, supplemento settimanale de Il Sole 24 Ore il 6 settembre 2007, insieme ad una recensione del libro.
Il libro sarà presentato al Festival di Genova il 28 ottobre 2007 durante la conferenza Dove va la comunicazione della scienza?.
L’incontro, cui parteciperanno Manuela Arata, Massimiano Bucchi, Sylvie Coyaud, Tim Radford, si terrà alle 11.30 a Palazzo Ducale, Sala del Minor Consiglio (P.zza Matteotti, Genova).