Di Massimiano Bucchi (dall’editoriale di Quark, ottobre 2004)
Sentiamo spesso ripetere – anche da commentatori autorevoli – che i cittadini europei, e in particolare quelli italiani, sarebbero scettici nei confronti delle biotecnologie perché poco e malamente informati, vittime di “analfabetismo scientifico” e portatori di un’ostilità pregiudiziale nei confronti della scienza alimentata dagli stessi mass media.
Ma è davvero così? Da alcuni anni, con i colleghi Federico Neresini e Giuseppe Pellegrini, ci occupiamo di percezione pubblica della scienza e in particolare delle biotecnologie, conducendo un’approfondita indagine periodica sui cittadini italiani che consente anche una comparazione a livello internazionale. Ebbene, i risultati – così come quelli di altri studi, a partire dall’Eurobarometro – ci dicono in primo luogo che gli orientamenti degli Italiani nei confronti delle biotecnologie sono tutt’altro che monolitici. A una chiusura piuttosto netta nei confronti degli OGM (il 70% li considera rischiosi), infatti, fa da contraltare un’apertura altrettanto netta nei confronti delle applicazioni biotecnologiche in campo medico (ad eccezione della clonazione riproduttiva) superiore a quella di numerosi paesi europei. Più della metà degli Italiani, peraltro, sono favorevoli in ogni caso a continuare le ricerche sugli OGM (57%) e addirittura l’84% a continuare le ricerche sulle biotecnologie mediche.
Una simile articolazione appare difficile da spiegare se si sposa la tesi di un’opinione pubblica antiscientifica tout court. Certo, è innegabile che settori consistenti della popolazione siano scarsamente informati sull’argomento. Eppure la disinformazione non può essere considerata l’unica responsabile degli orientamenti negativi in materia di biotecnologie. Infatti anche le persone più informate sulle biotecnologie non per questo sono meno critiche. Anzi, in alcuni casi è vero il contrario: i meglio informati sono anche i più scettici. Del resto, abbiamo quotidianamente una prova che la comunicazione in materia di rischio non è sufficiente a far cambiare atteggiamento: milioni di fumatori ignorano le scritte sui pacchetti di sigarette che li informano sui pericoli del fumo.
Ma se non è dunque la disinformazione la causa, come possiamo spiegare l’ostilità nei confronti di alcune applicazioni biotecnologiche?
La nostra ipotesi è che le radici di questo atteggiamento siano più profonde e non riguardino solo lo specifico delle biotecnologie. I cittadini non hanno perso fiducia nella scienza ma indubbiamente negli ultimi tempi è mutata l’immagine che essi hanno della ricerca scientifica e soprattutto dei suoi rapporti con il potere politico e gli interessi economici. Di fronte all’emergere di nuovi temi ad elevata complessità come le biotecnologie, le tradizionali forme di rappresentanza democratica e di decisione politica appaiono all’opinione pubblica inadeguate, poco trasparenti e soprattutto incapaci di gestire una scienza che ai loro occhi ha perso quelle caratteristiche di ‘indipendenza’, imparzialità e coesione interna. Non a caso sono proprio coloro che vedono gli scienziati in disaccordo tra di loro sugli OGM a manifestare più scetticismo nei confronti delle biotecnologie agroalimentari.
Ci si potrebbe forse spingere ad affermare che gli Italiani non temono le biotecnologie in quanto tali: temono l’assenza di procedure decisionali affidabili e in grado di tutelarli nel campo della ricerca e dell’innovazione. Al punto che oltre un quinto ritiene che sulle biotecnologie non si possano delegare le decisioni né agli esperti scientifici, né alle istituzioni politiche, sostenendo la necessità di chiamare in causa “tutti i cittadini”, e un altro 14% ritiene che al momento “nessuno sia in grado di decidere”.
Un’opinione pubblica più informata è certo auspicabile; ma se vogliamo davvero uscire dall’impasse su questioni come le biotecnologie, abbiamo bisogno di istituzioni e forme di rappresentanza democratica pienamente in grado di affrontare le nuove sfide della scienza e dell’innovazione tecnologica.
L’articolo è stato pubblicato come editoriale del numero di Ottobre della rivista Quark.