L’idea che la scienza sia ‘nella’ società – e dunque ne faccia parte – è sempre più accettata, e le interazioni tra ‘scienza’ e ‘società’ (che esistono sin dai tempi di Galileo) si sono moltiplicate a vari livelli. Assumendo forme che in parte mascherano la trasformazione profonda e irreversibile della scienza come istituzione, in una società che fa sempre più dipendere dalla stessa scienza la propria prosperità economica. Quello che è certo per il XXI secolo, più che per ogni altra epoca, è che se non diventiamo più intelligenti, saremo più poveri. Saranno scienza e tecnologia a dar forma al futuro – ma anche il modo in cui la società userà i frutti della curiosità, per quali fini e attraverso quali istituzioni. A livello politico ed economico, la scienza è messa sotto pressione: deve ‘consegnare’ risultati che incentivino lo sviluppo, creino nuovi posti di lavoro e maggiore benessere. Insomma, ci si aspetta che la scienza produca – sempre più rapidamente – innovazione. Ma la comprensione pubblica, e quindi anche politica, di come la scienza funziona resta sempre indietro. Alle università europee servono maggiori finanziamenti pubblici, per offrire alla prossima generazione le necessarie conoscenze e competenze. La società deve poter assorbire la nuova conoscenza generata dalla scienza. Per i cittadini e per la loro esperienza quotidiana, le interazioni tra scienza e società sono divenute ubique in modi inattesi e imprevedibili. Milioni di ‘utilizzatori’ contribuiscono già attivamente con la loro conoscenza alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In campo biomedico, gli utilizzatori (pazienti o gruppi a rischio) contribuiscono alla ricerca con cellule, tessuti o geni che formano il riferimento collettivo necessario per ogni diagnosi o terapia individuale.
Questo coinvolgimento ha generato un movimento di ‘cittadini scientifici’ che discutono i propri ruoli e diritti in interazione con la scienza. Grazie alla rete, l’accesso all’informazione scientifica si è fortemente esteso. Questi cittadini si aspettano di essere ascoltati quando si prendono decisioni a loro nome, e sempre più di decidere essi stessi. Anche il coinvolgimento pubblico degli scienziati e delle loro organizzazioni si è molto sviluppato.
Gli scienziati hanno dovuto imparare, a volte a loro spese, che un impegno sociale richiede ben più che fornire informazioni o consigli da esperti a persone inesperte e ignoranti. Anche se parte di questa interazione può essere delegata agli addetti alle pubbliche relazioni, molti scienziati hanno capito che nulla può sostituire il coinvolgimento personale; e che se si vuole avere una nuova generazione di scienziati, i giovani devono essere egualmente affascinati dalla scienza.
Questo significa che va tutto bene? Che siamo arrivati dopo 25 anni di tensioni e conflitti a una fase in cui scienza e società sono pienamente integrate nella nostra vita culturale, politica ed economica? Purtroppo no. Molte sfide restano aperte. La più grande è istituire una governance in cui diritto, etica e meccanismi ‘socialmente robusti’ consentano alla società di sfruttare pienamente l’enorme potenziale di scienza e tecnologia. In origine, la scienza era un’impresa neutrale che doveva tenere a bada le interferenze religiose e politiche. La scienza si vedeva come il regno dei ‘fatti’, mentre i ‘valori’ appartenevano alla società. All’inizio del XXI secolo, scienza e tecnologia ci mettono a disposizione tali e tante opzioni, che la scelta tra di loro non può che essere politica nel senso più profondo. Scienza e società, pertanto, hanno bisogno di una nuova comprensione di come la loro reciproca relazione stia cambiando man mano che entrambe evolvono. Solo nuove forme di coinvolgimento potranno far sì che i frutti della curiosità siano raccolti per il più ampio beneficio individuale e collettivo.
Helga Nowotny è Presidente dello European Research Council, professore emerito all’Istituto di Tecnologia di Zurigo e Chair del Programme Committee di ESOF2010.